GLI ULTIMI

Il titolo "GLI ULTIMI" si riferisce a querllo del film che Padre David Maria Turoldo girò nel 1962 . Esso tratta dell'emigrazione degli italiani, in particolare dei friulani e "ULTIMI" sono coloro che non si arrendono e che , nonostante la vita dura rimangono legati alle loro radici ed alla propria terra
e non partono.

venerdì 28 agosto 2009

LA VIA DELL'ALTA LENTEZZA




IL MANIFESTO BRADI ovvero LA VIA DELL’ALTA LENTEZZA
(Tratto da un commento di Claudio Magris su “Il sole 24 ORE” del 20 novembre 2005)
L’annientamento del presente, sacrificato precipitosamente al futuro, è da sempre un motivo
fondamentale dell’esperienza filosofica, poetica e religiosa, ma viene vissuto con particolare intensità nell’età contemporanea.
L’esistenza appare sottoposta ad una accelerazione crescente, bersagliata da assilli che esigono
risposte sempre più veloci e costretta a protendersi verso mete da raggiungere e abbandonare sempre più rapidamente.
Secondo Michelstaedter si hanno sempre più ragioni per desiderare che il tempo passi in fretta, che oggi sia già domani, che il futuro sia già arrivato, recando le risposte e le cose che si attendono ansiosamente e in tal modo si vive non per vivere ma per aver già vissuto, per essere sempre più vicini alla morte.
La velocità aumenta in ogni settore, trasformazioni storiche epocali avvengono con un ritmo che rende difficile percepirle e seguirle; i piccoli eventi della vita quotidiana – un trasloco, il rinnovo del passaporto, la riparazione dello scaldabagno – richiedono più tempo dei grandi eventi politici che cambiano il mondo. Si ha l’impressione di non riuscire a tener dietro alla realtà e al suo vorticoso caleidoscopio, che sbalestra i criteri e i metri di giudizio che dovrebbero comprenderla e inquadrarla.
Sarebbe patetico opporre a questa situazione oggettiva nostalgiche lamentele o un rifiuto reattivo, predicando un rifugio nei deserti della Tebaide o nei recessi dell’interiorità. I tempi lenti delle età passate sono tramontati; gradita o sgradevole, l’accelerazione è una realtà dell’epoca e della vita e solo confrontandosi con essa, sapendo di esserne coinvolti, è possibile resisterle e difendere quei margini di lentezza senza i quali il vivere perde senso.
Sten Nàdolny, scrittore tedesco, nel romanzo “La scoperta della lentezza”, propone il valore e il significato che assume la vita quando si rallentano – a cominciare dai gesti del proprio corpo e dalle reazioni psicofisiche – i suoi ritmi frenetici, la sua corsa incalzante che brucia ogni suo attimo e sembra continuamente annientarla mentre essa si svolge.
Anche Milan Kundera, proprio nel suo romanzo “La lentezza”, riscopre quest’ultima quale dimensione che restituisce all’esistenza la sua misura, permettendole di far maturare le sue ricchezze nascoste, le sue potenzialità latenti.
La lentezza va difesa come una strategia flessibile, elastica, senza affrontare di petto la frenesia del mondo, bensì sfuggendo alle sue spire come un lottatore cinese, marcando visita – tutte le volte che si può – quando si viene richiamati dalla sua mobilitazione generale.
Si dovrebbero praticare ogni giorno degli esercizi di lentezza; questa ginnastica aiuterebbe a conservare, nell’incalzare quotidiano, oasi di tempo più lungo e disteso, a tener aperti quegli spiragli attraverso i quali può irrompere nella vita il senso di ciò che trascende la corsa e la fuga del tempo profano, l’intuizione dell’eterno. Questa irruzione, che squarcia la temporalità come un velo, non può essere programmata o provocata. Può essere solo accolta, come una grazia irriducibile alla contingenza, e l’unica cosa che si può fare è conservare nel proprio animo la libertà e la disponibilità ad accoglierla quando si presenta, rimuovere le ansie e gli idoli quotidiani che ottundono la nostra sensibilità e ci chiudono ad ogni trascendenza.
Karl Barth, nel commento all’Epistola ai Romani, scrive che San Paolo parla dell’attimo in cui si compie la realizzazione dell’amore, di quell’attimo e di quell’adesso sovratemporale in cui passato e futuro si fermano in un presente assoluto, che non si può dileguare.
Ma ci sono anche altri punti di vista.
Roberto Casati nella stessa pagina di giornale scrive un articolo dal titolo: “No, correte in fretta e il mondo frenerà”.
Scrive che a far l’elogio della velocità si passa per strani e datati e fuorimoda amici del progresso.
Non riporto tutto l’articolo, in cui si esprimono anche giuste considerazioni, ma solo la parte che mi ha colpito.
“A chi si muove piano le cose finiscono con l’apparire ancora più rapide, e l’esercizio di lentezza sortirebbe un effetto collaterale contrario a quello desiderato, e forse fatale agli aspiranti BRADIPI. L’esercizio opposto è invece altamente raccomandabile: fate più cose tutte assieme, e fatele velocemente, con concitazione, quasi con affanno, e vedrete il mondo rallentare, e tanto più quanto più sarete andati in fretta. Si potrebbe addirittura cantare l’assenza del divenire, dire che il movimento e il cambiamento sono solo un’illusione, il sole non sta veramente tramontando e che tutto è già da sempre fermo.”
Mie riflessioni.
Le leggi della fisica ci parlano del moto apparente degli astri, della relatività dei punti di vista, o “sistemi di riferimento”, rispetto ai quali si studiano i corpi e i loro stati di quiete o di moto. (Per capirci: al viaggiatore seduto nello scompartimento di un treno in movimento le case e gli alberi fuori sembrano correre, mentre lui si percepisce fermo rispetto all’interno del vagone.)
Se sono io che corro sempre più veloce, sarà vero che gli altri sembreranno rallentare ma a me resterà sempre la percezione della mia corsa e del mio affanno. Perciò lascerò volentieri che altri mi sorpassino: preferisco essere un TRANQUIBRADIPO e vivere con l’illusione, anzi no, con la percezione che il sole mi regali albe e tramonti e con la certezza fisica che mi dia luce e calore!


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