GLI ULTIMI

Il titolo "GLI ULTIMI" si riferisce a querllo del film che Padre David Maria Turoldo girò nel 1962 . Esso tratta dell'emigrazione degli italiani, in particolare dei friulani e "ULTIMI" sono coloro che non si arrendono e che , nonostante la vita dura rimangono legati alle loro radici ed alla propria terra
e non partono.

venerdì 21 agosto 2009

INFINITO VIAGGIARE


Condivido una scelta di brani tratti da " L'INFINITO VIAGGIARE" , libro scritto da CLAUDIO MAGRIS



… il villaggio diviene un luogo della vita e non del tramonto, come accade quando una persona libera e sciolta si appaga di ciò che la circonda, perché dà senso alle cose e trasforma così anche il posto più piccolo in un teatro del mondo.
Così dovrebbe essere l’identità di frontiera, un arricchimento della persona, mentre invece è spesso la frontiera a esasperare le chiusure, le divisioni, l’odio.


Ma anche lo spazio, come il tempo, si contrae e si dilata, a seconda di ciò che lo riempie; si accartoccia o si gonfia come un palloncino ingrandendo le distanze e le cose, alterando le loro proporzioni. Un perdigiorno incuriosito e attento che girovaga in uno spazio ristretto assomiglia a un fotografo che ingrandisce le immagini, facendo affiorare dall’indistinto sempre nuovi particolari, scoprendo universi incasellati uno nell’altro.
Il vagabondaggio tra questi campi e questi paesi non cerca ricordi, nostalgie, tenere e precarie reliquie dell’Io, ma il mondo al di là della siepe. Non si cerca, in fondo, niente: ci si lascia andare, come un pezzo di legno in una roggia.


Un matrimonio, un’esistenza condivisa, può essere, in buona parte, anche questo, andare insieme per il mondo a guardare quel tutto o niente che c’è da vedere.


Ma un albero, per crescere bene, deve essere anche potato; essere liberi significa pure gettarsi dietro le spalle i dolori e i livori passati, dimenticare i soprusi subiti da un maligno superiore o da un meschino collega e le molestie patite dai vicini di casa che sporcavano le scale e tenevano la radio accesa a tutto volume, smettere di tenere una meticolosa contabilità delle proprie ragioni e dei propri torti.


E’ come ritrovarsi d’improvviso nei nostri anni Cinquanta, nella loro atmosfera fervida e povera, assillata da ristrettezze quotidiane.
Sono anzitutto gli odori, grande spia della realtà, che riportano di colpo a quegli anni: gli odori di portoni e di edifici, delle scale e dei corridoi, un odore indefinibile che sa di vecchio, di povertà, di soda e di carbone; un odore che appartiene al nostro passato, a un periodo che ci siamo lasciati indietro, a una specie di adolescenza della nostra società presente, struggente e amara come ogni adolescenza.


Si è fedeli alla verità e alla felicità se si sa, come Kafka, di non possederle, di essere fuori dal Paradiso terrestre…
…responsabilità…Essa significa pure fare i conti con il prezzo che è necessario pagare per realizzare i propri ideali, essere consapevoli dei compromessi che ciò talora comporta e saper valutare, di volta in volta, la loro accettabilità o meno.


Noi dimentichiamo spesso quest’amore della familiarità quotidiana, la capacità di sentirsi appagati e felici della ripetizione sempre nuova,di ciò che rende incantevole lo scorrere del tempo: guardare, passeggiare, costruire, leggere, mettersi a tavola fra volti cari, parlare, incontrarsi, amare, essere amici. Chi ha tutto questo è un privilegiato e deve sapere di esserlo, dev’essere consapevole che la sua felicità è questo fluire, consueto e normale ma sempre nuovo, delle ore d’ogni giorno. Chi ha una più grande capacità d’amare sa rinunciare a questo suo bene per lottare affinché lo ricevano anche gli altri, che ne sono privati da avversità naturali o sociali; l’agire del rivoluzionario, come quello del cristiano, è la generosità di chi, a malincuore, sacrifica la gioiosa armonia della sua esistenza e affronta il disordine per amore degli altri, esclusi da quell’armonia.


Giustamente Brecht definiva triste il tempo che ha bisogno di eroi, ma sapeva che , nel tempo triste – come era quello del dominio nazista e come è quello di tanti altri domini e minacce, politiche e individuali – c’è appunto bisogno di eroi.Non certo di eroi monumentali e retorici…fieri di fare i prodi e mettere a repentaglio la vita propria e altrui; …Ma c’è un coraggio del quale, per vivere, non si può fare a meno; il coraggio di chi detesta le marce in fila e preferisce andare a spasso o all’osteria ma sa che, per difendere il diritto proprio e altrui di andare a spasso o all’osteria, può essere dolorosamente necessario vendere il mantello e comprarsi una spada e affrontare, con la fifa nel cuore e le gambe che fanno giacomo giacomo,, il Leviatano che sparge tirannia, crudeltà e morte.


I colori sono un alfabeto del mondo; non solo il mare, il prato o il fuoco, ma anche sentimenti, parole, situazioni, perfino idee hanno dei colori. Il fiordo ha le tinte della lontananza… In realtà le cose sono tante, sfuggono all’occhio che vorrebbe impadronirsene come un animale da preda ma le vede dileguare, troppe e troppo diverse per essere catturate: le sfumature di colore dell’acqua, gradazioni e trapassi di grigio, verde, blu, avorio, piombo, argento, il cui impossibile catalogo sarebbe un multiforme canzoniere; le strisce di luce bianca e abbagliante che ogni tanto tagliano l’acqua come sciabole, l’oro bruno di un riverbero che si inabissa in un minimo vortice… La luce e la trasparenza dell’aria che fanno risaltare le cose sfidano la capacità di vedere, di accorgersi dell’inesauribile superficie del mondo.


… Ma per impossessarsi del trascolorare dell’erba, delle onde o delle nuvole c’è bisogno di quella preliminare impressione di vuoto, di niente. Nei luoghi lussureggianti, brulicanti di vita, si rischia di non vedere, come quando non si sente nulla in un ambiente troppo rumoroso; la ridondanza della realtà da percepire ne impedisce la percezione. In questa luce nordica, una foglia illuminata dal sole appare irripetibile, fugace ma necessaria; un ramo che si spezza screzia l’aria. Forse la realtà, per svelare l’insostituibile significato di ogni esistenza, ha bisogno di essere potata, ridotta.


Come la vita stessa, l’epica è un tappeto, incrociarsi e disfarsi di destini come fili di diverso colore, eventi figure e personaggi tessuti e dissolti dal tempo, dal caso, da Dio, da inesorabili necessità o fortuite coincidenze, egualmente vissute, godute e sofferte con passione.
… Un’autentica spiritualità – quando non si distorce nella propria caricatura che la nega, come accade con i fondamentalismi – è sempre universale, non appartiene solo a chi la professa esplicitamente da fedele e da praticante.


La mistica è abolizione del tempo, identità di vita e di morte, dell’Io individuale e del Tutto in cui questo sprofonda, dissolvendosi nell’ombra di un Dio così indefinibile da assomigliare al nulla. Dio è un grande Nulla, ripetono nel tardo Medioevo tanti mistici cattolici tedeschi. Si allentano i confini tra la fede in un Dio trascendente e quella in un panteismo in cui non ci sono più né Dio né l’Uomo; per Rumi, grande lirico persiano,raggiungere Dio significa l’annientarsi dell’ombra nella luce, il rompersi dell’onda nel mare. Felicità e disperazione, abbandono gioioso all’amore, che tutto avvolge e dissolve, o malinconia dello svanire sono quasi la stessa cosa; non dipendono da una concezione religiosa o filosofica, ma da uno stato d’animo…
Il sacro autentico è il rispetto religioso per tutta la creazione in ogni suo momento, per tutta l’esistenza – per ogni casa in cui nascono e vivono gli uomini, per ogni chicco di grano che muore e rinasce. Quando diviene un culto arcano riservato ai luoghi, cose o immagini privilegiate e falsamente misteriose, è un trucco, un inganno o un autoinganno, stanza che si tiene al buio per impedire di accorgersi che dentro non c’è niente e che il preteso dio è un feticcio. L’idolatria che declassa Dio e il divino a mistero da luna park è il nemico della religione. L’origine- di un individuo, di una nazione, di una civiltà- non è affatto più sacra di qualsiasi altro momento della vita. La falsa sacralità è violenza, è la paura e l’oscurità di cui ogni brutale potere ha bisogno per rendere schiavi.


L’etica della responsabilità, che pensa non solo alla purezza degli ideali, ma anche alle loro conseguenze per gli altri, è un fondamento della vita civile e della democrazia. Mai come quando si viaggia, tuttavia, si sente quanto facilmente essa possa sfumare in involontaria complicità o almeno in colpevole neutralità. I residenti, i sedentari, sono costretti a fare i conti a fondo con la realtà in cui vivono, senza svicolare, come è consentito invece a chi la notte dopo dormirà sotto un altro cielo.


Oggi più che mai vivere significa viaggiare; la condizione spirituale dell’uomo come viaggiatore, di cui parla la teologia, è anche una situazione concreta per masse sempre più vaste di persone. Sempre più incerto, nelle vertiginose trasformazioni del vivere, appare il ritorno – materiale e sentimentale – a se stessi…
Viaggiare è una scuola di umiltà; fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un’altra.


…Dalla poesia popolare sud-vietnamita: “amarsi vuol dire amare anche la strada che si fa insieme”


Come è giusto il monito del Dalai Lama a non convertirsi da una religione all’altra, nemmeno alla sua. Come ogni dialogo, anche quello ecumenico deve mantenere le distinzioni, è l’incontro di persone diverse. E’ questo che permette di avvicinarsi, di sentirsi uniti in una pietas comune, al di sopra delle proprie particolarità.


Ad ogni viaggio, ad ogni partenza, alcuni sensi si acuiscono e altri si ottundono.
Ad assopirsi sono le antenne della sospettosa e ansiosa sorveglianza quotidiana, di solito pronte a registrare i segnali di tutto ciò che può minacciare l’ordine e il dominio del piccolo mondo in nostro potere; partire è anche lasciarsi andare, mollare la zavorra, socchiudere gli occhi come quando si guarda il sole, pigliare quel che viene. Si risveglia la percezione dei colori, degli odori, della superficie liscia o ruvida delle cose, di dettagli anche insignificanti…Si trovano Paesi di vasti orizzonti anche interiori, ben diversi dalla soffocante insicurezza che si respira nei luoghi in cui si è troppo presi da se stessi e dall’immagine di sé che si dà agli altri.


Molti amici mi chiedono come mai non mi stanco a viaggiare tanto e spesso così lontano. Ci si stanca invece a casa, nella propria città e nel proprio mondo, stritolati da assilli e doveri, trafitti da mille frecce quotidiane banalmente velenose, oppressi dagli idoli della propria tribù. Inoltre è a casa che ci si gioca, in bene e in male, la vita, la felicità e l’infelicità, la passione, il destino. Il viaggio, anche il più appassionato, è sempre pausa, fuga, irresponsabilità, riposo da ogni vero rischio. Si torna dunque a casa, al mondo adulto, serioso, invadente.

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