GLI ULTIMI

Il titolo "GLI ULTIMI" si riferisce a querllo del film che Padre David Maria Turoldo girò nel 1962 . Esso tratta dell'emigrazione degli italiani, in particolare dei friulani e "ULTIMI" sono coloro che non si arrendono e che , nonostante la vita dura rimangono legati alle loro radici ed alla propria terra
e non partono.

venerdì 8 gennaio 2010

DA UNA POESIA DI MARTHA MEDEIROS.. e dintorni





Leggendo la poesia di MARTHA MEDEIROS“ Quien muere?” mi sono sorti due gruppi di riflessioni: uno riguarda i tipi di persone che la poesia richiama, l’altro è legato ad una di queste categorie.
Intanto leggiamo la poesia.
CHI MUORE ?
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi;
chi non cambia la marca,
chi non rischia e non cambia il colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle i
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge, chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande su argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordiamo sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Martha Medeiros

PRIME RFLESSIONI
Mi vien da pensare a quattro categorie di persone ( per questo contesto) :
1. Coloro che come dice Medeiros non riescono ad essere originali, a metterci un po’ di inventiva a cambiare la propria sorte o tentare di farlo … ed è come se lentamente morissero.
2. Quelli che reagiscono agli eventi non graditi o cambiano rotta e vivono , non sopravvivono.
3. Coloro che pur essendo privati di qualcosa ,e ciò li potrebbe bloccare, reagiscono con tutta la forza che hanno e vivono intensamente e con creatività la propria vita
4. C’è chi , come mia figlia Elisa, non ha armi per combattere, e dipende in tutto e per tutto dagli altri., ma in qualche modo non può rientrare nella seconda categoria non essendo in grado d decidere o cambiare la propria sorte. Sono coloro che abitano un luogo ed uno spazio del tutto speciali ma non confondiamoli con quelli del primo gruppo : non muoiono bensì “ vivono … lentamente”.
Per questo ho riscritto qualcosa prendendo lo spunto dall’ODE di Martha Medeiros senza alcuna pretesa di confrontarla con la sua ma solo per RICORDARE QUELLI COME ELISA
AD ELISA ED A QUELLI COME LEI
Vive lentamente chi è costretto a ripetere ogni giorno gli stessi percorsi
perché è su una carrozzella e dipende da chi lo guida e dai suoi tempi;
chi veste sempre gli stessi vestiti perché non sa comunicare per dire,
a chi lo veste, che gli piacerebbe qualcosa di nuovo e di allegro, non solo pulito;
chi non parla nemmeno a chi conosce e ama perché ha disimparato a farlo.
Lentamente vive chi sa far brillare gli occhi per le emozioni
ma non è in grado di esprimerle, chi risponde con un sorriso ad un sorriso,
chi non avrà mai più paura di sbagliare.
Vive lentamente chi non può permettersi di scegliere
o di cambiare un lavoro perché non è idoneo a farne nessuno,
chi forse confonde i sogni con la realtà
e chi è costretto a sottostare ai consigli di tutti, senza possibilità di replicare.
Lentamente vive chi viaggia superando barriere ed ostacoli,
chi ama ascoltare musica e la lettura di una storia.
Vive lentamente chi si deve far aiutare e così mette in crisi
e fa crescere e cambiare gli altri
e non si lamenta della propria sfortuna né della pioggia.
Lentamente vive chi non può intraprendere progetti
se non quelli che tanti fanno attorno a lui in ‘equipe’,
chi non risponde perché ha disimparato tante cose.
Gli è scaduto il tempo di fare domande su ciò che non conosce e …
la domanda più grande resta … la sua esistenza.
Prende la vita a piccole dosi e, se è vero che essere vivo
richiede uno sforzo maggiore del semplice fatto di respirare,
a volte … è faticoso anche respirare.
Ha così tanta pazienza, da tanto tempo,
che la felicità e la grazia gli correranno incontro!
A.B.

SECONDE RIFLESSIONI ( NIENTE A CHE VEDERE CON LA POESIA DI MEDEIROS QUANTO PIUTTOSTO CON QUELLA AD ELISA)
Chi ha avuto un piccolo infortunio o è vittima di un attacco di dolori di stagione , oppure ha subito da poco un intervento anche non tanto invasivo o pesante ( può essere ai calcoli renali, al tunnel carpale, alla cataratta …) può trovarsi nella situazione di dipendere da altri per vestirsi, per mangiare, per curare l’igiene, per deambulare. Chi è affetto da patologie croniche non ci fa quasi più caso : è una VITA CHE DIPENDE DAGLI ALTRI.
Anche se a prendersi cura del soggetto in difficoltà sia un familiare molto legato da sentimenti d’affetto o un operatore che ci mette l’anima e tutta la sua professionalità non riusciranno mai a calarsi a pieno nei panni dell’altro a meno che non abbiano provato essi stessi ad aver bisogno in una delle situazioni sopra elencate.
Mio padre ha passato tutta la sua vita a farsi allacciare una scarpa da mia madre, a causa di un incidente avuto da piccolo che gli impediva di flettere una gamba : adesso capisco perchè talora era insoddisfatto!
Provate a farvi allacciare una scarpa da un altro! Non potrà mai sentire con la vostra sensibilità se vi stringe o se vi sembra di perdere la scarpa stessa. Succede anche quando altri ti vestono: non percepiscono che un pantalone tira più da una parte e ti sfrega la pelle se cammini o una calza è troppo tirata e ti “anestetizza” l’alluce o che un berretto di lana è troppo calato sugli occhi, o la posizione di una etichetta che irrita qualche punto della pelle o un elastico troppo molle e un altro troppo tirato da lasciarti traccia … e chi più ne ha più ne metta.
Certo mi riferisco a persone che non riescono ad esprimersi verbalmente e ti fanno capire il loro disagio con versi che si fatica ad interpretare. A volte si credono agitati ed invece magari hanno la pipì che irrita nel pannolone o vorrebbero sdraiarsi e invece devono stare così e dove li mettono! ( Del resto è ciò che vivono anche i bambini piccoli nei confronti dei grandi che si prendono cura di loro.)
Nei momenti in cui dipendo dagli altri e non mi esprimo bene a causa del mio male , vivo anch’io questo disagio di incomunicabilità. Argomento per il quale non si terranno convegni ma forse val la pena di proporlo nei corsi per operatori, dove forse se ne parla già. Ma diverso sarebbe praticare qualche esercizio di reciprocità, come lavarsi o vestirsi l’un ‘altro. Se anche questo si fa già, “repetuta” non fanno male.
ANNA

2 commenti:

  1. La poesia è di Martha Medeiros, non di Neruda.

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  2. ringrazio per la correzione. Non mi ero preoccupata ,fidandomi del foglietto su cui l'ho trovata scritta. Al più presto correggerò il titolo.

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