GLI ULTIMI

Il titolo "GLI ULTIMI" si riferisce a querllo del film che Padre David Maria Turoldo girò nel 1962 . Esso tratta dell'emigrazione degli italiani, in particolare dei friulani e "ULTIMI" sono coloro che non si arrendono e che , nonostante la vita dura rimangono legati alle loro radici ed alla propria terra
e non partono.

mercoledì 28 aprile 2010

PAROLE CHE COMUNICANO E CHE METTONO IN RELAZIONE





Da: “ PAROLE COME GABBIE, PAROLE COME SOFFI”
di Manuela Vigorita
pubblicato su “ Autogestione e politica prima”, periodico di AZIONE MAG.



Ci sono parole che amo. Parole difficili da amare. Parole che lasciano nessun segno nella mente e nei ricordi, che scivolano via come l’acqua sui piedi. Parole come gabbie. Parole che chiudono la mente e costringono i pensieri. … Parole che sciolgono l’attesa, allargano la vista. Vivo cercandone … il segreto, il soffio che attraverso esse mi porti un po’ più in là di dove penso di essere. Che potessero essere anche prigioni l’ho scoperto subito. Ingarbugliandomi negli spazi ristretti di sapere che spesso delimitano. Che potessero liberare anche. Quando arriva ad esserci una corrispondenza tra loro … e la pelle d’oca, la paura nello stomaco, la gioia negli occhi. Ecco, allora quel soffio si muove, si fa vento che porta sé da sé agli altri … Soffio che torna mutato, diverso, alito di rabbia o di emozione, di indifferenza muta o di sorpresa.
Quando ho cominciato a scrivere “viva”, è dal dolore delle prigionie che sono partita. Dalla consapevolezza “dolorosa” che, anche in un luogo così intimo e apparentemente libero, come la poesia, vivono schemi, sottintesi, microcosmi simbolici pieni di inganni e raggiri, pieni di fili spinati … . Io reagivo dicendo no, forzando le parole fino al limite dell’incomunicabilità … . Faceva male perché fa male sentire che le regole che tutti conoscono e riconoscono non bastano, che non ci sono parole adatte. E non credo solo in poesia … fa male ogni volta che c’è in gioco qualcosa che conta e non si riesce a far vedere, a dire, a condividere. ….
Ho detto di no alle regole di grammatica, sintassi, punteggiatura, a rime e metrica …. Tenevo solo il ritmo, questo sì, come una percussione continua, una ninna nanna che addormenta, o una preghiera. … Forse perché ha il potere di richiamare il primo ritmo che ogni ricordo ricorda: quello del cuore di mia madre, quello del suo respiro. Ma poi c’è altro …. C’è l’imparare a dirle, a chiederle, a risponderle. … Oggi, io credo, chiudersi in quel no non basta. … Protegge il proprio prezioso sentirsi a disagio. … Ma non cura, non ama, non viaggia. … Dire però, riuscire a dire, io credo, ha bisogno di altro. …
Io ho imparato a dire sì in un modo semplice, antico e sbilanciante. Ho imparato fidandomi. Ho aperto i cancelli della solitudine … C’è un’altra. Una persona che le mie parole le aspetta, che aspetta … il mio dispormi al gioco di una relazione : chiedere, rispondere, chiamare, stare in ascolto o attesa. Dire. Ricordo, e riconosco quando scrivere, leggere, far leggere le mie poesie diventa uno dei possibili modi per iniziare, far viaggiare, vivere una relazione. … Allora a essere messa in gioco non è più solo la mia competenza linguistica, il mio sapere. … Il gioco si fa più largo e c’è spazio per emozioni, errori, tentativi, c’è lo spazio per l’incontro con un altro essere umano. … si è sempre almeno in due a scegliere, aprire possibili modi di trovarsi. Come quando ho imparato a parlare. …
Penso a quando le parole non ci sono di fronte a chi amo, … , di fronte a una ingiustizia, a un male, alla guerra. Non ci sono parole. Non ci sono. Non ne trovo fintantoché non mi cresce dentro la fiducia che qualcuno quelle parole le stia aspettando. Quelle parole lì, proprio quelle e non altre.
Quelle che nascono dalla mia esperienza, dal mio stare in questo luogo, con questa storia, questi ricordi, questo sentire. Proprio queste. Magari non belle, non perfette, non semplici, non sempre adatte. Ma mie..” Mie” nel senso di ricche di me.
Certo la fiducia che muove in questo senso, non può essere cieca. Ha bisogno di attenzione, e molta, di coraggio, ascolto, attesa. … E’ una fiducia che guarda e impara l’altro, lasciandogli la possibilità di essere altro da me e da quello che penso e spero. E’ fidarsi che dietro una scrivania, un ruolo … una specifica competenza, ci sia una donna, un uomo in carne e ossa, che desidera ,come me, chiedere, rispondere, ascoltare, emozionarsi. Dire. Una persona da scoprire, portando tutto quanto si ha e non si ha lì. A quell’appuntamento.
Allora le parole dicono non più solo qualcosa, ma me e tutto ciò che di me desidero mettere in gioco, e si fanno scoperta, si fanno ricerca. Allora curano i silenzi, le incomprensioni, smontano i muri. E viaggiano. E sanno come amare.
Così io credo per me sia così.
Che le parole non sono più costrette a trovare l’espressione di un solo io.
Né a piegare chi le dice dentro i limiti angusti di tecnicismi. Né a fare pulizia di quanto sta …. nelle emozioni, nei ricordi, con la sensazione di dover dire qualcosa di adatto, … catalogabile , sezionabile, come un cadavere.
Così, tenendo la memoria del modo in cui le ho imparate, le parole sono vita che continua a nascere, a far nascere noi.





Filmografia (dal 2000) di Manuela Vigorita:
2008 » doc L’Amore che Non Scordo, Storie di Comuni Maestre: regia, soggetto, sceneggiatura
Biografia di Manuela Vigorita:
Manuela Vigorita nasce a Roma nel 1965. Si laurea in Lettere e Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza col massimo dei voti. E’ autrice e regista per la radio e la televisione.(ultima modifica: 14/03/2009)

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